lunedì, maggio 10, 2010

Articolo di Braudel su Napoli apparso nel 1983 sul Corriere sella Sera

La mia passione per la storia contemporanea mi ha spinto ad iscrivermi ad un corso singolo all'Universita' di Catania, dove ho avuto la fortuna di seguire parecchie lezioni e di studiare una materia che inzialmente avevo preso a malavoglia, ma che alla fine ho capito quanto sia indispensabile per capire la storia contemporanea; si tratta della storia moderna. Qui ho incontrato autori durante lo studio che non raccontano la "storia degli avvenimenti", ma scendono a diversi livelli della vita di allora, sperimentano nuovi criteri storiografici. In questo periodo si nota come la storia della societa' passa invetabilmente attraverso l'economia, lo sviluppo di questa, nonche' del mercato... le prime lezioni pensavo di aver sbagliato aula, o corso, o professore,.... mi sembrava strano che un corso di storia moderna diventasse una sorta di corso di storia del pensiero economico. E piu' mi addentro in queste ideologie economiche (da Smith, Quesnay, Marx, Webber, ecc...) e piu' si evince come l'economia di mercato ha rappresentato la forza motrice che ha scaturito il progresso del mondo in cui viviamo. E' stata quella espansione che ha configurato il nostro mondo di oggi (basti pensare al capitalismo, rivoluzioni industriali, ecc...). In questo post vorrei uscire un po' "fuori esame" in quanto questo studio mi ha fatto scoprire uno dei piu' grandi storici del novecento; Fernand Braudel. Stiamo parlando del primo presidente dell'Istituto Internazionale di Storia Economica "F. Datini" (1968-1984), una personalita' eminente che mi ha entusiasmato al di fuori del saggio di 95 pagine chiesto dal prof dell'universita' di Catania, tanto che ho dato un'occhiata al suo precedente grande lavoro "Il Mediterraneo all'epoca di Filippo II ", dove mette per iscritto tutta la sua conoscenza sul Mediterraneo all'epoca di Filippo II (re spagnolo del '500, e quindi anche di Napoli...). Voglio solo qui riproporre alcuni frammenti di un articolo di Braudel che ho trovato pe rpuro caso, scritto sul Corriere della sera nel 1983 (un anno prima che io nascessi), perche' credo che certe parole acquistano piu' valore se escono dalla bocca giusta;
"Napoli affascina il visitatore frettoloso d'oggi, come ieri gli amministratori ed i soldati di Carlo V e di Filippo II, alle prese con gli enormi problemi di gestione di un agglomerato tanto vasto: il secondo, per popolazione, del Mediterraneo del XVI secolo, dopo Istanbul; il secondo, anche, del cristianesimo occidentale, dopo Parigi. Impossibile restarvi indifferenti. Ma essa sa, ha sempre saputo difendersi. Ed io mi dichiarerò volentieri colpevole di essermi dato vinto troppo rapidamente o di aver mancato della perseveranza o dell'astuzia necessarie.
Impossibile, nondimeno, per me non vagheggiare per Napoli una sorte diversa da quella che le conosco oggi e non invitare i miei amici italiani, per assaporarne reazioni, tanto più inorridite in quanto siano originari di Milano, di Bologna o di Firenze, a immaginare quale avrebbe potuto essere il destino dell'Italia ed il volto attuale di questa città se essa fosse stata preferita a Roma come capitale del nuovo Stato. Roma, che nulla qualificava a svolgere questo ruolo, salvo la sua leggenda e il suo passato, quando Napoli era - e di gran lunga - , malgrado i rapidi progressi di Torino, la sola città ad essere, verso il 1860-70, all'altezza del compito. Avrebbe saputo adattarsi a queste nuove funzioni? (...)
Diversa lo è, indubbiamente oggi, che assume clamorosamente il ruolo che le si è voluto far recitare di "vetrina del Sud" e dei suoi problemi, in margine alle norme del mondo industriale e moderno. Provocata, io la sospetto volentieri d'aver fatto buon peso nella sua risposta e con successo indiscutibile: essa scandalizza ancor più di quanto le si chieda. Ma Napoli ha sempre scandalizzato, scandalizzato e sedotto. A cominciare dai sovrani, dai governi, dalle amministrazioni, che hanno voluto impossessarsene per mettere, attraverso di essa, le mani sull'intero Sud. Eccettuato Masaniello per qualche settimana, Napoli non si è data la pena di produrre alcun governante indigeno. Tutti sono venuti da fuori: Normanni e Angioini, Aragonesi e Castigliani, Spagnoli o Ispanofrancesi (coi Borboni), e di nuovo Francesi con Murat.(...)
E Napoli ha continuato a dare molto all'Italia, all'Europa e al mondo: essa esporta a centinaia i suoi scienziati, i suoi intellettuali, i suoi ricercatori, i suoi artisti, i suoi cineasti.....Con generosità, certo. Ma anche per necessità. Mentre non riceve nulla, o pochissimo, da fuori. L'Italia, secondo me, ha perso molto a non saper utilizzare, per indifferenza, ma anche per paura, le formidabili potenzialità di questa città decisamente troppo diversa: europea prima che italiana, essa ha sempre preferito il dialogo diretto con Madrid o Parigi, Londra o Vienna, sue omologhe, snobbando Firenze o Milano o Roma.....
Non attendiamoci da essa né compiacimenti, né concessioni. Questo capitale oggi sottoutilizzato, sperperato fino ai limiti dell'esaurimento - poichè non si può dare indefinitamente senza ricevere - quale fortuna per tutti noi, se ora, domani, potesse essere sistematicamente mobilitato, sfruttato, valorizzato. Quale fortuna per l'Europa, ma anche e soprattutto per l'Italia. Questa fortuna, Napoli merita, più che mai, che le sia data. (...)"

Articolo sul Corriere della Sera, 1983.

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